lunedì 8 dicembre 2008

Transitorio di carica e scarica di un condensatore

Transitori di carica e scarica

La costituzione di un campo elettrico fra le armature di un condensatore inizialmente scarico vale a dire come sol dirsi, il processo di carica di un condensatore si compie con uno scorrimento relativo fra le cariche elettriche di segno opposto, che sono disgiunte e che affiorano libere sulle superfici delle armature. Tale scorrimento relativo di cariche costituisce una corrente elettrica temporanea la quale prende il nome di corrente di carica del condensatore.

Questa corrente, e la tensione vc ai capi del condensatore, varia nel tempo secondo gli andamenti indicati dai grafici in figura.

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Si osserva che la corrente di carica i inizia con la sua massima intensità del valore

I0=E/R

All'atto della chiusura del circuito di carica, avente resistenza R, per poi diminuire fino a ridursi a zero; mentre la tensione vc fra le due armature del condensatore va aumentando fino a raggiungere e uguagliare il valore della tensione d’alimentazione vale a dire il valore E della f.e.m. della batteria.

Il tempo che decorre fra l'istante iniziale e l'istante in cui è raggiunto l'equilibrio Vc=E rappresenta la durata del periodo transitorio di carica del condensatore. Si può dire che la durata di questo periodo (indicato con T in figura) rappresenta l'intervallo di tempo che è impiegato dalla corrente di carica i a trasportare sulle armature del condensatore la quantità d’elettricità Q=C Vc che deve essere assorbita dalle armature del condensatore.

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Gli andamenti indicati in figura, dalla corrente di carica i e della tensione ai capi del condensatore vc, sono delle curve esponenziali espresse analiticamente, in funzione del tempo t, dalle seguenti relazioni

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Nelle precedenti relazioni, la grandezza t è la costante di tempo del circuito di carica, misurata in secondi e definita dall’espressione t=RC.

Dal valore della costante di tempo t, e quindi in sostanza dal valore di R e dal valore di C, dipende la rapidità di variazione della I e della vc negli istanti immediatamente successivi alla chiusura del circuito di carica.

E, infatti, come si vede dai grafici, la costante t determina l’inclinazione delle rette che sono tangenti alle due curve nel punto t=0.

Da questa grandezza dipende inoltre la durata T del processo di carica, data (in secondi) dalla relazione

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Fenomeni analoghi si ripetono durante la scarica del condensatore, e cioè quando il condensatore (preventivamente caricato) sia staccato dalla batteria d’alimentazione e connesso a un circuito passivo avente una certa resistenza R di scarica.

In tale circuito si stabilisce istantaneamente una corrente I=Vc/R il cui verso è quello dell'armatura positiva alla negativa, e quindi contrario al verso della corrispondente corrente di carica: la corrente di scarica viene perciò rappresentata da una curva i con le ordinate negative (come in figura).

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Appena la carica ha inizio, la tensione fra le armature diminuisce e allora diminuisce in valore anche l'intensità della corrente di scarica: in definitiva, durante il processo di scarica si assiste a una graduale diminuzione della tensione vc ai capi del condensatore e della corrispondente corrente di scarica (espressa in ogni istante dal rapporto i=vc/R), fino ad annullarsi entrambe dopo un tempo T, che definisce il periodo transitorio di scarica, dato ancora dalla

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Le espressioni analitiche delle due curve esponenziali di scarica risultano rispettivamente

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E' chiaro che la quantità di elettricità che nel periodo di scarica viene trasportata dalla corrispondente corrente, deve necessariamente coincidere con la quantità di elettricità Q che era stata comunicata al condensatore durante la carica.

I condensatori

Condensatori elettrici

Ogni coppia di conduttori isolati, l'uno rispetto all'altro fra il quale esiste o si può stabilire un campo elettrico costituisce un sistema il qual è denominato condensatore. I due corpi sui quali si distribuiscono le cariche elementari disgiunte che producono il campo prendono il nome d’armature del condensatore. Le due armature sono separate l'una dall'altra da un dielettrico che può essere il vuoto oppure, più comunemente, l'aria o un qualunque materiale isolante solido o liquido.

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Figura 1 - Schemi simbolici della capacità o del condensatore

Un singolo conduttore isolato, come ad esempio una sfera A (Fig.2) può essere considerato come l'armatura di un condensatore di cui l'altra armatura è rappresentata dal suolo e da tutti gli altri corpi circostanti come B appoggiati o connessi a terra. Se si collega il corpo isolato a uno dei poli del generatore, collegando l'altro polo a terra, si costituisce un campo elettrico le cui linee di forza si svolgono nello spazio fra il corpo isolato e tutti i conduttori circostanti connessi a terra: dopo che il campo si è costituito, esso permane anche togliendo i collegamenti col generatore perché le cariche elementari che affiorano libere sul corpo isolato senza poterlo abbandonare attraggono e tengono in equilibrio le cariche di segno opposto che affiorano sulle superfici di tutti i corpi circostanti.

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Figura2 - Formazione del campo elettrico fra un corpo isolato ed altri connessi al suolo

In definitiva si può concludere che ogni campo elettrico si svolge sempre fra le due armature di un condensatore, sulle quali s’iniziano e terminano tutte le linee di forza del campo: la qualità di cariche elementari positive (o negative) complessivamente distribuite rispettivamente sull'una (o sull'altra) armatura costituisce la carica elettrica Q del condensatore la quale viene misurata in coulomb.

Evidentemente la carica positiva di una delle armature è sempre uguale in valore alla carica negativa dell'altra: si esprime quanto fatto dicendo che sulle due armature del condensatore si hanno due cariche elettriche uguali ed opposte. In tali condizioni, fra le due armature esiste una certa d.d.p. la quale costituisce la tensione elettrica V corrispondente alla carica Q che si trova addensata sulle due armature del condensatore.

La quantità totale di elettricità Q che un condensatore assume sulle armature, positiva da una parte e negativa dall'altra, sotto una tensione assegnata e costante, di valore V, varia da un condensatore a un altro con la forma, l'estensione, e la posizione reciproca delle armature, e inoltre anche con la natura del dielettrico interposto. In altri termini due o più condensatori diversi, caricati tutti alla stessa d.d.p. V, assumono e trattengono sulle rispettive armature delle quantità di elettricità differenti e cioè un diverso numero di coulomb.

Si esprime brevemente questo fatto dicendo che i diversi condensatori hanno una capacità diversa, e precisamente una capacità maggiore quelli che per una tensione assegnata assumono sulle armature una maggiore quantità di cariche elementari, e capacità minore invece quelli che assumono una quantità di elettricità minore.

Si può inoltre rilevare sperimentalmente che, per un dato condensatore, la quantità di elettricità Q che il condensatore presenta sulle sue armature e la corrispondente d.d.p. V che intercede fra un'armatura e l'altra cresce e diminuiscono in proporzione.

Ne segue che, comunque si vari lo stato di carica di un condensatore, il rapporto fra la quantità di elettricità Q che si trova sulle armature e la corrispondente tensione elettrica V che intercede fra un'armatura e l'altra rimane sempre costante, e costituisce pertanto una grandezza fisica caratteristica che ha un valore proprio e specifico per quel singolo condensatore.

Alla grandezza così definita si assegna il nome di capacità elettrostatica C del condensatore, e si pone senz'altro: C=Q/V

La capacità di un condensatore esprime dunque la carica elettrica che esso può assumere, rapportata all'unità di tensione, e cioè la quantità di elettricità che viene a trovarsi contrapposta sulle armature del condensatore, positiva da una parte e negativa dall'altra, quando esiste fra di esse la tensione di un volt: in altri termini

La capacità di un condensatore esprime il numero costante di coulomb, che deve essere di volta in volta dislocati sulle armature, affinché la tensione fra l'una e l'altra si elevi ogni volta e progressivamente di un volt

Così se la capacità di un condensatore è C, la quantità totale di elettricità Q che si trova contrapposta sulle armature quando fra l'una e l'altra esiste la differenza di potenziale V è data in coulomb dal prodotto: Q = C V

Inversamente, quando sulle armature di un condensatore di capacità C si trasporta in un modo qualunque una quantità di elettricità Q (positiva sull'una e negativa sull'altra) fra le armature si stabilisce una tensione: V = Q/C

Dalle considerazioni esposte discende che la capacità di un condensatore è espressa in coulomb a volt (C/V). Quest’unità prende il nome di farad (F). Perciò un condensatore ha la capacità di un farad se assume la carica elettrica di un coulomb per ogni volt di tensione fra le armature.

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Capacità del condensatore piano

I condensatori reali sono normalmente costruiti in modo che due superfici metalliche sufficientemente estese risultino reciprocamente affacciate e separate da un sottile e uniforme strato di materiale dielettrico: una simile struttura prende il nome di condensatore piano, anche se spesso le armature assumono una forma incurvata, come nei condensatori a nastri arrotolati (come in figura 1).

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Figura 1 - Schema costruttivo di condensatore avvolto

Il condensatore piano può essere schematizzato come in figura 2 ove con d viene indicata la distanza fra le due armature (e quindi lo spessore costante dello strato di dielettrico interposto), e con S l'area delle due superfici affacciate.

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Figura 2 - Per il calcolo della capacità di un condensatore piano

Per determinare la capacità di questo condensatore s’immagini di applicare fra le due armature una tensione di valore V, collegando il condensatore ad un generatore.

In seguito a ciò le due armature si elettrizzano assumendo le due quantità d’elettricità +Q e -Q di segno contrario ma uguali in valore.

Corrispondentemente, nello spazio interno al condensatore s’instaura un campo elettrico uniforme la cui intensità e il cui spostamento sono espressi dalle seguenti relazioni

K = V/d D = eK = e0er V/d

Essendo e=e0 er la costante dielettrica del materiale inserito fra le armature. Il vettore spostamento esprime, com’è noto, il valore delle opposte qualità d’elettricità che risulta distribuite su ogni unità di superficie delle armature.

Ne segue che la carica complessiva Q portata, con opposto segno, dall'intera superficie S delle medesime armature è esprimibile per mezzo della relazione:

Q = D S = e0 er (V/d) s

Eseguendo il rapporto Q/V si ottiene la capacità C del condensatore piano, espressa in farad, nella forma:

C = Q/V = e0 er S/d

Si vede quindi che la capacità è proporzionale alla superficie delle armature e inversamente proporzionale alla rispettiva distanza, ed è inoltre proporzionale alla costante dielettrica del mezzo interposto.

Se fra le armature si ha l'aria oppure il vuoto er=1, la capacità del condensatore è del valore

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Se invece fra le armature si ha un dielettrico solido o liquido con costante dielettrica relativa er ¹ 1 la capacità del condensatore si potrà esprimere per mezzo della relazione

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Ne risulta che interponendo fra le armature di un condensatore un dielettrico materiale, la capacità aumenta e diventa precisamente er volte maggiore del valore C0 che compete al condensatore in aria.

Ciò dimostra che i dielettrici materiali non hanno la sola funzione passiva di isolare le armature, ma esercitano invece anche una funzione attiva che si concreta in un aumento della capacità del condensatore.

La costante dielettrica relativa er dà precisamente la misura di questo aumento di capacità rispetto all'aria e cioè definisce il rapporto fra la capacità C di un condensatore avente per dielettrico il materiale considerato, e la capacità C0 che lo stesso condensatore assume se fra le armature si interpone l'aria oppure il vuoto:

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Per mezzo di questa semplice relazione si rende possibile determinare, attraverso sole misure di capacità il valore della costante dielettrica relativa er della maggior parte dei materiali dielettrici usati nella tecnica.

I conduttori elettrizzati

· Proprietà dei conduttori elettrizzati

Se si ricorda che ogni campo elettrostatico è per definizione riferita a una distribuzione di cariche elettriche in equilibrio, e cioè ferme, ne discende che in ogni conduttore comunque elettrizzato, il campo elettrico, deve essere necessariamente nullo in tutti i punti interni alla superficie che lo delimitano. Si supponga, infatti, per assurdo, che ciò non sia vero; in tal caso il campo elettrico agente nella massa del conduttore vi promuoverebbe senz'altro un certo movimento degli elettroni liberi; ma rimanendo invece ferme le cariche si deve concludere che nessun campo agisce su di esse.

Inoltre, le cariche di elettrizzazione possono distribuirsi soltanto sulla superficie del conduttore, e mai possono penetrare all'interno: una carica che potesse penetrare all'interno del conduttore dovrebbe produrre un campo elettrico nello spazio ad essa circostante; ma, come si è visto, nei punti interni alla superficie dei conduttori elettrizzati staticamente il campo deve risultare nullo.

Queste considerazioni permettono di affermare che la conformazione dei campi elettrostatici soddisfa in ogni caso alle quattro condizioni seguenti

1) Nei conduttori elettrizzati staticamente, le cariche elettriche Q sono distribuite e affiorano tutta sulla superficie esterna mentre all'interno si ha Q=0;

2) All'interno di un conduttore elettrizzato staticamente si ha sempre K=0, in pratica è nullo il campo d’ogni punto;

3) Il campo prodotto dal conduttore elettrizzato presenta linee di forza tutte orientate verso l'esterno in direzione normale alla superficie: se così non fosse, il vettore K ammetterebbe la componente tangenziale Kt che farebbe spostare le cariche; il campo K deve quindi coincidere necessariamente con Kn;

4) Fra ogni coppia di punti di un conduttore elettrizzato, non può esistere mai alcuna differenza di potenziale perché diversamente, nel conduttore potrebbe manifestarsi un movimento delle cariche: la superficie del conduttore delimita un volume i cui punti hanno tutti lo stesso potenziale Vs ed è essa stessa una superficie equipotenziale.

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Dalle proprietà indicate è in particolare che l'equilibrio elettrico di un conduttore elettrizzato non è alterato, se s’immagina di scavare internamente il conduttore fino a ridurlo ad un involucro anche sottilissimo: nell'interno di quest’involucro il campo elettrico rimane sempre nullo, qualunque sia la carica elettrica distribuita sulla superficie esterna, vale a dire qualunque sia l'intensità del campo elettrico nello spazio esterno all'involucro. Si può quindi affermare che un involucro metallico completamente chiuso costituisce un vero schermo elettrico, il quale protegge l'intera regione interna dalle azioni di tutti i campi elettrici esterni (schermo di Faraday).

Il campo elettrico

Il campo elettrico

Sono chiamati fenomeni elettrostatici tutti quei fenomeni elettrici che sono prodotti nello spazio (e nei corpi che vi sono immersi) dalle cariche elettriche libere, positive o negative, che si trovano in equilibrio statico (vale a dire ferme) sui corpi comunque elettrizzati. Se si ricorda che, in base alla legge di Coulomb, le cariche elettriche agiscono mutuamente le une sulle altre con delle attrazioni e repulsioni reciproche le quali si esercitano in tutte le direzioni che si irradiano da ciascuna di esse, si intuisce che le azioni elettriche non si manifestano solo in seno ai corpi nei quali sono contenute, ma si estendono invece e investono l'intero spazio circostante: l'esperienza prova infatti che tutte le azioni elettriche si esercitano a distanza anche attraverso lo spazio vuoto senza l'intervento di nessuna continuità materiale che debba trasmetterle.

Una carica elettrica puntiforme, positiva o negativa, agisce radialmente in tutte le direzioni su tutte le altre cariche che si trovano immerse nell'intero spazio circostante: essa respinge tutte le cariche d’eguale segno e attrae invece le cariche di segno opposto. Si esprime questo fatto dicendo che ogni carica positiva o negativa, considerata a sé produce, nell'intero spazio circostante in cui è immersa, un campo elettrico.

Inversamente ogni carica elettrica, positiva o negativa, si trova sempre soggetta ad una forza che è la risultante delle attrazioni e delle repulsioni che essa risente dalle singole cariche elementari circostanti. Questo fatto può essere espresso affermando che ogni carica elettrica subisce l'azione del campo elettrico risultante dall'azione dei campi propri di tutte le cariche rimanenti. Generalizzando i concetti esposti, si definisce come campo elettrico: "Ogni regione dello spazio in cui si manifestano delle forze elettriche, in pratica ogni regione dello spazio in cui ogni carica elettrica che vi è immersa si trova soggetta ad una forza che tende a muoverla secondo una direzione determinata".

· Intensità del campo

L'esistenza o meno di un campo elettrico in una data regione dello spazio può essere rivelata sperimentalmente per mezzo di una carica elettrica di prova che venga posta di seguito nei vari punti della regione considerata. Nei punti in cui tale carica di prova è soggetta ad una forza, qui esisterà un campo elettrico, il quale sarà considerato tanto più intenso quanto più intensa è la forza rilevata.

Per esprimere una misura dell’intensità del campo elettrico si fa riferimento alla forza che agisce sulla carica di prova unitario positivo. Quindi se F è il vettore che individua in ampiezza, direzione e verso la forza che agisce su una carica di prova di valore generico Q, si sosterrà che nel punto in cui tale carica è stata collocata esiste un campo la cui intensità è rappresentata dal vettore K definito dalla seguente relazione

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L'intensità del campo elettrico è pertanto definita in valore e verso dal vettore K che rappresenta la forza coulombiana che il campo esercita sull'unità di carica positiva idealmente concentrata nel punto considerato.

L'unità di misura dell'intensità di campo è il newton a coulomb (N/C).

Ove sia noto il vettore K nei vari punti del campo elettrico, è possibile determinare in valore e verso le forze meccaniche che agiscono su cariche elettriche di valore Q qualsiasi supposte concentrate in tali punti. Dette forze F sono date dalla seguente relazione

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Gli effetti che sono prodotti dall'azione di queste forze dipendono naturalmente dal grado di mobilità delle cariche che le risentono: in particolare se una carica positiva o negativa si trova immersa in un campo elettrico qualunque ed è perfettamente libera di muoversi, essa descrive una traiettoria ben definita rappresentata dalla linea che ha per tangente nei vari punti la direzione assunta in quei punti dalla forza che la trascina: questa linea prende il nome di linea di forza del campo.

Per mezzo delle linee di forza è possibile dare una rappresentazione grafica della conformazione del campo elettrico. In una siffatta rappresentazione si assume convenzionalmente come verso positivo delle linee di forza il verso in cui sono sollecitate a muoversi le cariche positive.

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Figura A: le linee di forza convergono su una sfera elettrizzata negativamente

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Figura B: le linee di forza divergono da una sfera elettrizzata positivamente

Ad esempio il campo elettrico prodotto da una sfera elettrizzata isolata nello spazio si rappresenta rispettivamente come in figura A e B secondo che la sfera porti degli elettroni in eccesso oppure in difetto, e cioè secondo che la sfera sia elettrizzata negativamente o positivamente: nel primo caso il verso delle linee di forza converge sulla sfera perché tale è il verso in cui essa tende ad attrarre le cariche elementari positive situate in punti come P nello spazio circostante; nel secondo caso invece il verso delle linee di forza diverge dalla sfera elettrizzata positivamente perché le cariche elementari positive dello spazio circostante vengono respinte. In generale si può dire che le linee di forza elettriche divergono sempre dai corpi elettrizzati positivamente e convergono sui corpi elettrizzati negativamente.

· Il campo elettrico uniforme

Ogni processo d’elettrizzazione dei corpi avviene sempre per separazione di un certo numero di cariche elementari positive e negative inizialmente compenetrate fra loro a costituire lo stato elettricamente neutro.

Ne segue che per produrre nello spazio un campo elettrostatico è necessario disporre di almeno due corpi ad uno dei quali venga sottratto un certo numero di elettroni per comunicarli in eccesso all'altro.

In generale i corpi interessati a questo trasferimento di cariche sono costituiti da due (o più corpi metallici isolati ai quali si da comunemente il nome di armature del campo: dalla forma e posizione reciproca di tali armature dipende la distribuzione spaziale del vettore campo elettrico K e cioè l'andamento delle linee di forza del campo. Il caso più semplice è rappresentato dal campo elettrico a geometria piana che si può ottenere collegando ai due poli opposti di un generatore elettrico, di f.e.m. E, due armature piane A e B, d’estensione illimitata, disposte parallelamente l'una all'altra alla distanza d e separate fra loro da un qualunque mezzo fisico isolante come in figura.

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Nell'atto in cui si chiude l'interruttore S, il generatore sposta verso l'armatura B connessa al polo negativo, un certo numero di elettroni i quali vanno a costituire su di essa una carica negativa -Q avente un certo potenziale VB; contemporaneamente sull'altra armatura A si scoprono altrettante cariche elementari positive che nel loro insieme costituiscono la corrispondente carica positiva +Q con potenziale VA.

Questo processo, si arresta, quando l'entità e la distribuzione delle cariche elettriche così disgiunte sono tali da produrre una d.d.p. VAB=VA-VB pari al valore della tensione E fornita dal generatore. Dopo di ciò il generatore può essere staccato dai due piani A e B, su ognuno dei quali permane fissa e in equilibrio la rispettiva carica ±Q, e quindi permane anche la d.d.p. VAB agente fra le due armature.

Data la mobilità delle cariche elettriche nei conduttori è facile intuire che a equilibrio raggiunto le due cariche +Q e -Q risultano uniformemente distribuite sulle superfici contrapposte delle due armature: in queste condizioni, se nello spazio interposto si colloca un corpuscolo elettrizzato con una piccola carica di prova +Qp, questo è respinto da tutte le cariche d’eguale segno distribuite sui singoli elementi superficiali del piano A ed è contemporaneamente attratto dalle corrispondenti cariche di segno opposto distribuite sul piano B. Il corpuscolo considerato è pertanto soggetto ad un sistema di forze coulombiane la cui risultante F è diretta ortogonalmente dall'armatura positiva A a quella negativa B.

Sotto l'azione di questa forza il corpuscolo, posto inizialmente a contatto dell'armatura positiva va senz'altro a cadere su quella negativa seguendo una traiettoria rettilinea.

Altrettanto accade se il corpuscolo di prova è posto in ogni altro punto del campo compreso fra i due piani: escluse solo le regioni prossime ai bordi, nel caso d’armature d’estensione finita, dove le traiettorie s’incurvano come in figura b).

Nel caso considerato, fra i due piani si costituisce dunque un campo elettrico a linee di forza rettilinee e parallele, e la forza che sollecita la carica Qp è costante in tutti i punti: si ha perciò un campo elettrico uniforme.

Se si ricorda che il vettore intensità di campo K rappresenta la forza che agisce sulla carica di valore unitario, si può concludere che la d.d.p. VAB che si stabilisce fra le due armature deve corrispondere al lavoro sviluppato dal vettore K quando sposta la carica unitaria da un'armatura all'altra, e deve perciò valere la relazione

VAB = k d

Ne risulta, inversamente, che in un campo elettrico uniforme prodotto fra due armature A e B poste alla reciproca distanza d e fra le quali sia applicata una tensione VAB, il valore dell’intensità del campo è dato dal rapporto: K=VAB/d

Può essere espresso in volt al metro (V/m), oltre che in newton al coulomb. Infatti, risulta

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Se in luogo di due piatti metallici, si pongono due sfere S1 e S2, le linee di forza del campo elettrico assumono l'andamento indicato in figura, il quale è dalla sovrapposizione dei due campi radiali relativi ad ogni singola sfera. Un corpuscolo elettrizzato positivamente posto ad esempio in P, è soggetto ad una forza repulsiva F1 da parte della sfera positiva S1 e ad una forza attrattiva F2 da parte della sfera negativa S2: esso tende pertanto a muoversi per un piccolo intervallo nella direzione della forza risultante F. Ma non appena esso è giunto in un punto vicino P' le due forze che lo sollecitano mutano di direzione e di intensità perché è variata la distanza del corpuscolo dalle due sfere, e precisamente la forza F1 diminuisce e assume un nuovo valore F'1 e la F2 aumenta per assumere il valore F'2; la forza risultante assume così il valore e la direzione F'.

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Procedendo in tal modo punto per punto, si riconosce che se il corpuscolo considerato è inizialmente accostato alla sfera positiva esso è condotto dal campo elettrico a cadere sulla sfera negativa, seguendo precisamente traiettorie del tipo rappresentato in figura dalle linee di forza del campo.

Da quanto accennato, discende la seguente importante conclusione: le linee di forza di un campo elettrico sono sempre delle linee limitate che congiungono con i loro estremi, senza mai intrecciarsi, le superfici dei corpi sui quali sono distribuite le cariche di segno opposto che producono il campo. Ogni linea di forza parte sempre da un corpo elettrizzato positivamente e termina su un altro corpo elettrizzato negativamente.

Le misure elettriche fondamentali

Voltmetri ed amperometri

I voltmetri e gli amperometri sono sempre provvisti di due morsetti di collegamento, opportunamente contrassegnati per consentire la corretta inserzione nel circuito rispettando i versi convenzionali della tensione e della corrente.

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Per quanto riguarda gli amperometri, il collegamento al circuito deve essere realizzato in modo che lo strumento venga direttamente attraversato dalla corrente I che si vuol misurare: questo richiede che l'amperometro venga inserito in serie nel circuito, come lo strumento A della figura, con l'avvertenza che la corrente entri nello strumento attraverso il morsetto contrassegnato con (+) affinché la deviazione possa avvenire nel verso progressivo della scala di lettura.

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L'inserzione di un voltmetro si esegue invece collegando in derivazione lo strumento fra il primo e il secondo punto tra il quale si vuol misurare la d.d.p.: così, nel circuito in figura, il voltmetro V è allacciato (per mezzo dei suoi cordoni voltmetrici e relativi puntali) fra i due punti M e N per la misura della tensione UMN esistente fra l'entrata e l'uscita dell'utilizzatore.

Convenzioni sulla corrente e sui potenziali elettrici

Convenzioni sulla corrente e sui potenziali elettrici

In tutti i fenomeni elettrici è facile riscontrare che le cariche elettriche negative determinano sempre o subiscono effetti uguali ma di segno opposto a quelli determinati o subiti dalle cariche positive. Da questa proprietà discende che ogni movimento di cariche negative equivale, a tutti gli effetti esterni, ad un movimento in senso opposto di cariche positive. Per questo fatto, il verso di una corrente elettrica può essere indifferentemente riferito sia al movimento d’elettricità negativa, sia al movimento in senso opposto d’elettricità positiva.

Per consuetudine si considera come verso convenzionale della corrente elettrica il verso di scorrimento delle cariche positive rispetto alle cariche negative supposte fisse: tale verso è dunque opposto a quello secondo cui realmente avviene il movimento degli elettroni lungo il circuito.

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Fig.1 Versi convenzionali della f.e.m. e della d.d.p. con inserzione del Voltmetro e dell'Amperometro

In relazione al verso convenzionale della corrente si fissa anche il verso convenzionale della f.e.m. dei generatori, supponendo che le azioni interne agiscano nel senso di spostare le cariche positive dal polo negativo al polo positivo (mentre in effetti accade l'opposto, in quanto sono gli elettroni che vengono dislocati verso il polo negativo).

Si dirà pertanto che le f.e.m. dei generatori sono dirette convenzionalmente, lungo il circuito interno, dal polo negativo al polo positivo, come è indicato dal verso E in figura.

Analogamente si dirà che la d.d.p. che esiste fra i poli di un generatore agisce dal polo positivo al polo negativo.

Si esprime questo fatto dicendo che il polo positivo di un generatore è mantenuto a un potenziale elettrico maggiore di quello dell'altro polo e che quindi le cariche positive tendono a muoversi spontaneamente dai punti a potenziale maggiore verso i punti a potenziale minore; mentre gli elettroni tendono a spostarsi dai punti a potenziale minore verso quelli a potenziale maggiore.

Alla superficie della terra viene attribuito un potenziale zero: ne segue che il valore del potenziale di un dato punto potrà essere inteso come la d.d.p. fra questo punto e la terra: questo potenziale sarà positivo o negativo a seconda che esso sia maggiore o minore di quello della terra.

La presenza di una d.d.p. fra due punti di un circuito, o il passaggio della corrente in un conduttore, possono essere rilevati soltanto per via indiretta, sulla base degli effetti che si manifestano in presenza appunto di una tensione o di una corrente.

Utilizzando opportunamente taluni di questi effetti si rende possibile costruire degli strumenti che sono in grado, non solo di indicare, ma anche di fornire una misura della tensione o della corrente: tali strumenti sono i voltmetri e gli amperometri.

mercoledì 26 novembre 2008

BIBLIOGRAFIA

Preferisco per il momento non suggerire testi per lo studio,
non avendo finora individuato libri adatti per gli studenti (ne viceversa!!!)
Raccomando pertanto l'attenzione reale in classe e un minimo di esercitazione a casa (quando si può !!).

martedì 25 novembre 2008

VERIFICA FINALE

TEMPO DI STUDIO: dipende dall'abilità acquisita dall'allievo
PREREQUISITI: metodi di risoluzione reti
OBIETTIVI: verifica competenza raggiunta nell'analizzare un circuito resistivo lineare con più generatori.

Per la parte relativa a resistenze serie e parallelo, e partitori di tensione e corrente:
ESERCIZI 2.1 e 2.3 (3 + 3 punti)
Per alla risoluzione delle reti in regime stazionario (sovrapposizione degli effetti):
ESERCIZIO 3.4 (4 punti)

TEMPO TOTALE: 55 minuti

ESERCITAZIONE PER VERIFICA

TEMPO DI STUDIO A CASA : almeno tre ore
PREREQUISITI: metodi di risoluzione reti
OBIETTIVI: verifica grado di competenza raggiunta nell'analisi di un circuito resistivo lineare con più generatori.

Per la parte relativa a :
  1. resistenze serie e parallelo,
  2. partitori di tensione e corrente
  3. risoluzione delle reti in regime stazionario (sovrapposizione degli effetti
ESERCIZI






OTTAVA LEZIONE

TEMPO DI STUDIO: 30 MINUTI

PERIODO: Novembre

Principi di Kirchhoff

I circuiti di distribuzione dell'energia elettrica, come pure i circuiti interni degli apparecchi elettrici, si presentano spesso come una vera e propria rete di conduttori costituita da un certo numero di circuiti poligonali chiusi formati da uno o più lati: ognuno di questi circuiti costituisce una maglia della rete, e i punti di concorso di più lati ne costituiscono i nodi.

La figura schematizza una rete elettrica: vi sono indicati i generatori che agiscono nei vari lati e le resistenze dei lati stessi.

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Il problema principale connesso a simili circuiti si propone la determinazione, in valore e verso, delle correnti che percorrono i singoli lati delle maglie. Per tale determinazione servono i due principi di Kirchhoff.

Si consideri una maglia qualsiasi, ad esempio la maglia ABCD, i cui lati hanno rispettivamente le resistenze R1, R2, R3, R4, comprese anche le resistenze interne dei generatori di f.e.m. E1, E2, E3, inseriti nei lati AB, BC e CD.

Siano I1 I2 I3, I4 le correnti nei quattro lati della maglia, e siano quelli indicati in figura i loro versi fissati ad arbitrio.

Nel nodo A della maglia concorrono quattro lati, due percorsi dalle correnti I1, e I4 appartenenti alla maglia ABCD e due percorsi delle correnti I5, I6, appartenenti a maglie adiacenti.

Dato che nel nodo A non può aversi né accumulo né sottrazione di cariche elettriche (condizione di continuità), ad ogni carica che arriva al nodo deve corrispondere, nello stesso intervallo, un’eguale carica che si allontana.

Ma la quantità di elettricità che nell'unità di tempo arriva al nodo A non è altro che la somma delle intensità di correnti dirette verso il nodo stesso, e la corrispondente quantità uscente non è altro che la somma delle correnti che si allontanano dallo stesso nodo.

Ne deriva che: "la somma delle correnti dirette verso un nodo di una rete è uguale in valore alla somma di tutte le correnti che se ne allontanano"

Quando si considerino positive le correnti dirette verso il nodo e negative quelle che partono dal nodo, si può dire che la somma algebrica delle correnti che convergono in un nodo è nulla.

E' questo il primo principio di Kirchhoff, che applicato al nodo A può essere scritto nelle forme

I5 + I6 - I1 - I4 = 0

I5 + I6 = I1 + I4

Per quanto riguarda il secondo principio, si consideri ancora la maglia precedente e si supponga di percorrerla nel verso in cui si eseguono i punti A, B, C, D (verso di percorrenza).

Si applichi la legge di Ohm ai singoli tratti successivi AB, BC, CD, DA della maglia in questione, tenendo presenti i versi delle f.e.m. e delle correnti indicate nella figura.

VAB - E1 = R1 I1

VBC + E2 = -R2 I2

VCD + E3 = R3 I3

VDA = - R4 I4

Facendo la somma, a membro a membro, di queste espressioni si ottiene

- E1 + E2 + E3 = R1 I1 - R2 I2 + R3 I3 - R4 I4

Essendo nulla evidentemente la somma

VAB + VBC + VCD + VDA = 0

Eseguita lungo il percorso chiuso dalla maglia.

Al primo membro della relazione si ha la somma algebrica delle f.e.m. agenti nella maglia considerata (assumendo come positive le f.e.m. dirette secondo il verso di percorrenza, e negative quelle dirette in verso opposto); al secondo membro si ha la somma algebrica dei prodotti delle resistenze per le intensità delle correnti ossia delle cadute di tensione dei singoli lati della maglia (considerando positive quelle relative ai lati in cui le correnti hanno verso uguale a quello di percorrenza, e negative le cadute nei lati ove le correnti hanno verso opposto a quello di percorrenza).

La relazione sopra citata compendia il secondo principio di Kirchhoff, che può essere così enunciato: "La somma algebrica delle f.e.m. che agiscono in una maglia è uguale alla somma algebrica delle cadute ohmiche lungo i lati della stessa maglia"

Per l'applicazione dei principi di Kirchhoff nella risoluzione di una rete si procede nel modo seguente: si fissano ad arbitrio i versi delle correnti nei lati delle maglie e si applica il primo principio ai nodi della rete, escluso uno; si applica poi il secondo principio a un sufficiente numero di maglie, in modo da avere tante equazioni indipendenti quante sono le correnti incognite che bisogna determinare: la risoluzione, mediante le regole dell'algebra, del sistema d’equazioni così ottenuto, determina in valore e verso le correnti incognite. A titolo di esempio si consideri la rete riportata in figura 2.

Il problema è quello di determinare, in valore e verso, le correnti che percorrono i sei lati della rete.

A tal fine, prefissati ad arbitrio i versi delle correnti nei singoli lati, come indicato in figura, si applica il primo principio ai nodi A, B, C e il secondo principio alle maglie ABCA, ABDA e BCDB: si ottengono ordinatamente le sei equazioni seguenti

I1 = I2 + I3 ; I2 + I4 = I5 ; I6 + I5 = I1

E1 - E2 = R1 I1 + R2 I2 + R5 I5

-E2 = R2 I2 - R4 I4 - R3 I3

0 = R5 I5 - R6 I6 + R4 I4

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Figura 2

Si hanno dunque sei equazioni indipendenti, quante sono le correnti incognite, che possono essere determinate, in grandezza e segno, risolvendo il sistema: le correnti che risulteranno positive avranno verso opposto a quello indicato.

SETTIMA LEZIONE

TEMPO DI STUDIO: 30 MINUTI

PERIODO: Novembre


LA LEGGE DI OHM


L'esperienza dimostra che al crescere della tensione agli estremi di un filo (conduttore), cresce nella stessa proporzione anche la corrente che lo attraversa. Se la tensione diventa doppia, tripla ecc. si raddoppia, si triplica ecc. la corrente.

Se l'esperienza viene ripetuta variando le dimensioni (lunghezza e sezione) del conduttore oppure variando la natura del conduttore (adottando successivamente fili di rame, alluminio, ferro ecc.) si trova ancora che il rapporto fra le diverse tensioni applicate e le rispettive correnti si conserva costante: ma questo rapporto ha un valore diverso da un caso all'altro e cioè sotto la stessa tensione, due o più conduttori diversi vengono attraversati da correnti diverse. Si esprime questo fatto sperimentale affermando che: "conduttori diversi offrono al passaggio della corrente diversa resistenza elettrica"

Intendendo, come resistenza elettrica di un conduttore, il rapporto fra il valore della tensione applicata ai capi del conduttore e il corrispondente valore dell'intensità della corrente che lo percorre.

Se pertanto, sotto l'azione della tensione V, un filo metallico è percorso da una corrente di intensità I, si dirà che esso possiede una resistenza R espressa dal rapporto

R = V/I

Se è nota la resistenza R del conduttore, si può dire che, ogni volta che fra i suoi estremi si applica una tensione qualunque V, il conduttore sarà percorso da una corrente che ha l'intensità

I = V/R

Inversamente, ogni qualvolta un conduttore di resistenza R è percorso da una corrente d'intensità I, fra i suoi capi terminali si manifesta una differenza di potenziale (caduta di tensione o caduta ohmica) il cui valore è dato dal prodotto

V = R I

Questi fatti sperimentali e le relazioni corrispondenti costituiscono la legge di Ohm. Se il numero di volt che misura la tensione V applicata agli estremi del conduttore è in particolare uguale al numero di ampere che misura la corrente I, il valore del rapporto fra tensione e corrente risulta uguale a 1: si dirà allora che: "il conduttore considerato ha la resistenza elettrica unitaria"

Ogni conduttore che soddisfa a questa condizione realizza in sé quella resistenza elettrica che è assunta come unità di misura della resistenza.

Tale unità rappresenta la resistenza di quel conduttore che richiede ai suoi capi la tensione di 1V per essere attraversato dalla corrente di 1A.

In onore del fisico tedesco George Simon Ohm, l'unità di resistenza elettrica è denominata ohm e indicata col simbolo W . Si pone quindi

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Sostenendo che un filo ha la resistenza elettrica di 10 W , si esprime che quel filo richiede ai capi una tensione di 10V per ogni ampere di corrente che lo attraversi.

Se quel filo deve essere percorso da 2A, esso richiede ai suoi capi estremi una tensione del valore di 20V.

Ad esempio: se il filamento di una lampada a incandescenza, alimentato alla tensione di 220V, è attraversato dalla corrente di 0,5A si dirà che il filamento in questione ha una resistenza elettrica

R = U/I = 220/0,5 = 440 W

In pratica, oltre l'ohm, si usano spesso:

il kiloohm ( 1kW =103 W)

il megaohm (1MW =106 W)

come unità di misura per le grandissime resistenze;

il milliohm (1mW =10-3W )

oppure il microohm (1 mW = 10-6 W )

per la misura delle resistenze piccole e piccolissime.

Un materiale che presenti una resistenza elettrica dell'ordine dei megaohm sarà naturalmente un cattivo conduttore, perché anche sotto una tensione relativamente elevata sarà attraversato da una corrente piccola: sotto la tensione di 1V, un conduttore di resistenza uguale a 1MW è attraversato da una corrente di 1mA.

Talvolta si preferisce scrivere la legge di Ohm, anziché nella forma V=RI che esprime la proporzionalità fra tensione e corrente, nell'altra forma

I = G U

Ciò stabilisce la proporzionalità fra corrente e tensione.

La grandezza G è chiamata conduttanza ed è legata alla resistenza R della relazione

G = I/U = 1/R

La sua unità di misura è l'inverso dell'ohm ed è denominata siemens (S), in onore dell’inventore tedesco Werner Von Siemens:

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Conduttori con elevata resistenza presentano bassa conduttanza e viceversa.

Ad esempio, il filamento della lampada ad incandescenza considerata in precedenza presenta una conduttanza del valore

G = I/V = 0,5/220 = 0,0023 S

Il simbolo grafico della resistenza e della conduttanza è stato normalizzato come indicato in figura

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Simboli grafici per resistenza R o conduttanza G

I tratti a linea intera rappresentano collegamenti a resistenza nulla o a conduttanza infinita.

SESTA LEZIONE

TEMPO DI STUDIO: 1h

PERIODO: Novembre

Corrente elettrica

Un movimento ordinato di cariche elettriche attraverso un dato mezzo fisico, è chiamato corrente elettrica.

Ogni complesso di conduttori comunque collegati a generatori e a utilizzatori costituisce un circuito elettrico.

Il circuito così definito è sede di una corrente ogni qualvolta esso è chiuso, e cioè ogni qualvolta è realizzata in esso la continuità metallica fra tutti gli elementi che lo compongono.

Se tale continuità viene a mancare, il circuito si dice aperto e nessuna corrente può instaurarsi in esso.

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Il movimento di migrazione delle cariche elettriche lungo un circuito interessato da corrente può presentarsi con caratteristiche d’uniformità e costanza nel tempo: in questo caso la corrente è definita come continua.

Si parla invece di corrente variabile quando la circolazione degli elettroni non si realizza in modo uniforme e costante.

In ogni caso, il movimento degli elettroni in seno ai conduttori metallici è sempre tale che da ogni elemento di volume esce da una parte tanti elettroni quanti n’entrano da un'altra (legge della continuità). Perciò ogni sezione dell'intero circuito chiuso percorso da corrente deve essere attraversato, nello stesso intervallo, da uno stesso numero d’elettroni, ossia dalla stessa quantità d’elettricità.

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"La maggiore o minore intensità di corrente elettrica, può essere definita mediante la quantità d’elettricità che attraversa una qualsiasi sezione del circuito nel tempo unitario"

Poiché la quantità di elettricità si misura in coulomb, l'intensità di corrente risulta allora definita dal numero di coulomb che attraversa ogni sezione del circuito nel tempo di un secondo, e la sua unità diventa il coulomb al secondo.

Quest’unità è stata denominata col nome ampere e indicata col simbolo A.

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Se una sezione qualunque di un circuito elettrico è attraversata, in un certo tempo di Dt secondi, da una quantità d’elettricità di Q coulomb, si dirà che il circuito è percorso da una corrente elettrica la cui intensità I, espressa in ampere, è data dal rapporto

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Inversamente, se un circuito è percorso dall'intensità di I ampere, tutte le sezioni del circuito vengono attraversate nel tempo di Dt secondi da un numero di coulomb espresso dal prodotto

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Rappresentazione cartesiana della corrente continua i(t) in funzione del tempo

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Le due relazioni sopra descritte implicano che l'intensità di I resti costante per tutto l'intervallo Dt, che si tratti perciò di una corrente continua, come quella rappresentata in figura.

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In questa figura è facile controllare che l'area delimitata dall'intervallo Dt fornisce una rappresentazione della quantità d’elettricità Q.

Rappresentazione cartesiana della corrente alternata i(t) in funzione del tempo

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Qualora invece la corrente sia di tipo variabile, la sua intensità non assume più un valore costante I, ma si presenta diversa da un istante all'altro, come nell'esempio riportato in figura.

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Anche in questo caso l'area sottostante alla curva della corrente i(t) è delimitata dall'intervallo di tempo Dt rappresenta la quantità di elettricità Q che fluisce durante questo intervallo entro il circuito.

Se si esegue il rapporto tra tale area e la base Dt si ottiene la corrente media I relativa all'intervallo Dt considerato: il significato che assume la intensità media è quello di una corrente continua e costante che nell'intervallo Dt è capace di trasportare la stessa quantità di elettricità Q che è effettivamente trasportata dalla corrente variabile i(t).

Nella pratica applicativa, si presenta spesso la necessità di controllare come si distribuisce il flusso degli elettroni all'interno di un filo conduttore percorso da corrente.

A tal fine è presa in considerazione la densità di corrente, definita dal rapporto fra la corrente I che attraversa la sezione S del conduttore e la sezione stessa.

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La densità di corrente rappresenta il numero d’ampere che attraversa ogni unità di sezione del conduttore: nelle normali applicazioni di calcolo essa è espressa usualmente in ampere al millimetro quadrato (A/mm2).

Negli ordinari circuiti, la densità di corrente deve essere mantenuta al disotto dei 3 A/mm2 per evitare forti riscaldamenti del conduttore.

QUINTA LEZIONE

TEMPO DI STUDIO: 1h

PERIODO: Ottobre

La tensione elettrica

Nel linguaggio scientifico è chiamato potenziale elettrico di un punto "il valore dell'energia potenziale posseduta dalla carica unitaria dislocata in quel punto". Il simbolo del potenziale elettrico è V. La sua formula di definizione è espressa dal rapporto

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Tra il valore dell'energia potenziale W posseduta dalla carica e il valore della carica stessa. Secondo la definizione l'unità di misura del potenziale è ancora il joule/coulomb e cioè il volt.Si dirà pertanto che: "il potenziale di un assegnato punto P, di un circuito elettrico ha il valore Vp=120V quando l'energia posseduta dalla carica di 1C concentrata in tale punto P è di 120J"

Il significato di questa grandezza fisica è molto importante.

Il potenziale elettrico esprime, infatti, una misura del contenuto energetico di una carica che si trova dislocata in un determinato punto. Il contenuto d’energia sarà maggiore se la carica è dislocata in punti a potenziale più alto, sarà invece minore se i punti in cui la medesima carica si trova a potenziale più basso. Si può dire quindi che l'energia di una carica elettrica dipende sia dal valore Q di tale carica, che dal valore del potenziale V che si riscontra nel punto in cui la carica si trova. La relazione per il calcolo di quest’energia si ricava dalla precedente formula ed ha la forma

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Quando i potenziali elettrici VA e VB di due qualsiasi punti A e B sono fra loro diversi, la differenza

VAB = VA - VB

E’ chiamata differenza di potenziale (d.d.p.) fra i due punti, o tensione elettrica.

La tensione fra due punti rappresenta in tal modo la quantità d’energia che è ceduta dalla carica unitaria che passa dal primo al secondo punto, o anche il lavoro che è eseguito dalla carica unitaria. Per questo, l'energia DW che è ceduta da una carica di valore Q che si sposta fra i punti A e B sarà espressa dalla relazione

DW = VAB Q

In un generatore l'effetto ultimo delle azioni interne è quello di mantenere i due poli a potenziale di valore diverso, creando fra essi una tensione che equivale al valore della f.e.m., e cioè al valore dell’energia che tali azioni interne forniscono alla carica unitaria.

Ne segue che: "la forza elettromotrice di un generatore è pari alla differenza di potenziale che essa determina (e mantiene) fra i due poli del generatore"

QUARTA LEZIONE

TEMPO DI STUDIO: 1 h

PERIODO: Ottobre

Il generatore elettrico di tensione

Un generatore elettrico può essere considerato come un sistema capace di separare e mettere in movimento, nei conduttori di cui è formato, un certo numero degli elettroni liberi presenti. Indipendentemente dalla loro struttura costruttiva reale i generatori elettrici possono essere schematizzati come in figura 1.

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Lungo il circuito interno del generatore hanno sede e si sviluppano delle forze Fe le quali tendono a dislocare gli elettroni liberi fra i due punti estremi A e B di tale circuito, chiamati poli o morsetti del generatore.

Sulla superficie esterna del polo B si realizza un addensamento d’elettroni in eccesso, mentre sulla superficie del polo A si rende libera un’eguale quantità di cariche elementari positive: il dislocamento degli elettroni cessa quando le azioni intrinseche Fe del generatore sono equilibrate dalle azioni attrattive F che vengono a manifestarsi nel verso opposto, secondo la legge di Coulomb, fra le cariche positive e negative separate.

L'aspetto più importante di questo processo è rappresentato dal fatto che ad ogni elettrone che viene spostato dal polo positivo al polo negativo viene conferita una certa energia potenziale: quest’energia equivale al lavoro sviluppato dalle forze Fe del generatore per dislocare tal elettrone vincendo le forze coulombiane di richiamo.

L'energia potenziale che si rende disponibile ai morsetti del generatore è tale da permettere, agli elettroni che vengono dislocati fra un morsetto e l'altro del circuito interno, di percorrere poi un circuito esterno che venga direttamente allacciato al generatore, come in figura 2.

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Nel circuito esterno che conterrà l'apparecchio utilizzatore U, potrà allora instaurarsi una corrente elettrica, in altre parole uno scorrimento continuo di cariche sostenuto dalle forze interne del generatore Fe il quale sospinge con continuità gli elettroni di conduzione mano a mano che essi abbandonano il morsetto negativo B e rientrano nel morsetto positivo A.

Questo processo continuo di scorrimento delle cariche, è reso possibile dal fatto che quando un certo numero d’elettroni lascia il morsetto B per attraversare il circuito esterno e rientrare nel morsetto A, si determina una riduzione delle forze coulombiane di reazione F (perché cala il numero delle cariche dislocate sui morsetti), con la conseguenza che le forze intrinseche del generatore Fe tornano a prelevare e a produrre lo spostamento d’altrettanti elettroni nel circuito interno dal morsetto A al morsetto B.

Il movimento delle cariche elettriche attraverso un circuito utilizzatore non può avvenire liberamente, ma soltanto a spese di una certa quantità d’energia, poiché in ogni apparecchio utilizzatore è sempre sottratta una certa energia agli elettroni che lo attraversano, per essere trasformata in quelle altre forme d’energia che caratterizzano lo specifico modo di funzionare dell'utilizzatore stesso.

Forza elettromotrice del generatore

La grandezza che caratterizza l'attitudine di un generatore elettrico a fornire quantità d’energia più o meno grandi alle cariche è denominata: "forza elettromotrice (f.e.m.) del generatore"

Con questa grandezza (indicata col simbolo E) si vuole rappresentare la quantità di energia che è fornita, dal generatore, alla carica di valore unitario.

Il numero che esprime il valore della f.e.m. altro non è, che il numero di joule che quel generatore è in grado di fornire ad ogni coulomb che è spostato da un morsetto all'altro.

La f.e.m. rappresenta con ciò anche la misura del lavoro che il generatore compie per dislocare, lungo il suo circuito interno, la carica unitaria da un polo all'altro.

Sulla base delle precedenti definizioni, l'unità di misura con la quale rimane espressa la f.e.m. è il joule a coulomb.

Quest’unità è denominata volt in onore del fisico italiano Alessandro Volta e indicata col simbolo V.

Essa è definita dalla seguente relazione:

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